"Compagnia di Bandiera"
Alitalia ed Etihad sulla pista di partenza
Entro pochi giorni dovrebbero essere definiti i dettagli per l'entrata degli arabi nell'azionariato della compagnia italiana. Sono previsti 2.200 esuberi. A carico di chi?
La trattativa tra Alitalia e la Compagnia degli Emirati Arabi Etihad sembra ormai in dirittura d’arrivo. In occasione della presentazione della relazione Enac, l’amministratore Delegato di Alitalia Gabriele Del Torchio ha fatto presente che la società di Abu Dhabi è disponibile a versare 560 milioni di euro per acquisire fino al 49% delle azioni, ma non ci sono margini sugli esuberi; su questo sono assolutamente inflessibili e “2.200 dipendenti” della Compagnia italiana “dovranno uscire”.
Del Torchio ha poi affermato che “il problema dovrà essere affrontato con interventi di natura sociale”. L’a.d. non però chiarito se si riferiva alla cassa integrazione in deroga oppure ai contratti di solidarietà. Intanto ha annunciato di aver convocato i Sindacati di categoria.
I tempi sono stretti e le trattative con le banche per rinegoziare il debito sono in fase di conclusione. L’idea è quella di definire il tutto entro il più breve tempo possibile, anche perché i margini ormai sono risicati. Alitalia ha bisogno di chiudere in fretta, per poter contare su un programma di investimenti e di sviluppo, con nuove rotte che aumentino sensibilmente il numero dei passeggeri.
La Compagnia italiana, infatti, nel 2013 ha mantenuto il primo posto in Italia con 23.993.000 di passeggeri (in diminuzione rispetto ai 25,3 mln del 2012), ma è ormai tallonata dalla Ryanair con 23.045.000.
Nel 2008 il Governo Berlusconi decise di difendere a tutti i costi “l’italianità” della Compagnia, impedendone l’acquisizione da parte di Air France. Allora i francesi avrebbero investito 1.140 milioni, a fronte dei 560 dell’Etihad di oggi.
Vennero garantiti sette anni di cassa integrazione agli esodati, sgravi sulle assunzioni, nessuna concorrenza sulla tratta Linate-Fiumicino e “zero debiti”, creando la c.d. “bad company”. Il tutto a carico delle casse pubbliche. In queste condizioni, la nuova Alitalia venne consegnata ai nuovi azionisti di riferimento, i c.d. “capitani coraggiosi”.
Dopo sei anni la situazione si è fatta estremamente delicata e c’è quindi bisogno di un’ulteriore iniezione di denaro, che gli arabi sono disponibili a fare, ma senza farsi carichi dei debiti e dei 2.200 dipendenti che considerano in esubero e che saranno verosimilmente salvaguardati con fondi dello Stato.
Non è, infatti, realmente pensabile che si possa far fronte a queste spese “aumentando la tassa sui biglietti”, così come è stato affermato in questi giorni. Questa soluzione, in verità, renderebbe meno competitiva la compagnia, in un mercato già adesso spietatamente concorrenziale , ed i problemi si sposterebbero semplicemente in avanti nel tempo.
Dopo decenni di fallimenti politici, sindacali ed imprenditoriali; di scorribande dei partiti e di scelte sbagliate dei vari manager che si sono succeduti alla guida di Alitalia, pagati con cifre astronomiche in barba agli scarsi risultati ottenuti; dopo vari miliardi spesi a carico delle casse pubbliche, ci si ritrova ancora a parlare di “ulteriori interventi per difendere l’italianità dell’Azienda”.
Forse sarebbe ora di riflettere sul fatto che ormai la grandissima parte della clientela sceglie di viaggiare al minor prezzo; e questo si può garantire solo se si è competitivi sul mercato. L’italianità di una compagnia aerea è proprio così importante?
Davvero il Paese con le bellezze artistiche più straordinarie e numerose del mondo ha bisogno di una “compagnia di bandiera” per portare nel mondo il nome della nostra Nazione?
Moreno Morando
(9 giugno 2014)
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