Riforme
Grillo contro Napolitano, Renzi contro Grillo: e' scontro totale
La decisione di contingentare i tempi per la discussione e la votazione della riforma costituzionale ha messo "l'un contro l'altro armato"
Il livello delle tensioni e delle polemiche tra le forze politiche e tra alcune di queste e qualche organo costituzionale aumenta di ora in ora. La decisione annunciata ieri dal Presidente Pietro Grasso all’assemblea di Palazzo Madama di ricorrere alla “tagliola”, cioè al contingentamento dei tempi prima di arrivare al voto sul disegno di legge di riforma del Titolo V e del Senato, fissato per l’otto agosto, ha scatenato un vero putiferio.
I senatori contrari all’accelerazione voluta dalla maggioranza governativa e da Forza Italia, ieri si sono recati in corteo al Quirinale, chiedendo di essere ricevuti per esprimere il loro fermissimo dissenso contro la decisione di tagliare drasticamente i tempi del dibattito. Il capogruppo del PD Zanda con passione e veemenza ieri ha ribaltato le accuse, sostenendo che l’ostruzionismo esasperato delle opposizioni ha reso inevitabile la decisione del contingentamento.
Il Capo dello Stato non ha ricevuto i parlamentari che protestavano contro la “tagliola” decisa al Senato; ufficialmente “a causa di una indisposizione”, in realtà tutti l’hanno interpretata come una diplomatica “scusa”, tanto che nessuna agenzia l’ha più citata con il passare delle ore. I “dissidenti” sono stati ricevuti dal Segretario Generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra, che ha poi assicurato di aver riferito testualmente al Presidente Napolitano il contenuto del colloquio.
Oggi Beppe Grillo ha sparato ad alzo zero contro il Capo dello Stato, accusandolo di essere il regista “dell’operazione tagliola”, chiedendone le dimissioni e gridando “al colpo di Stato”. Matteo Renzi, da parte sua, ha continuato ad accusare “chi vuol bloccare il Paese”, ribattendo a Grillo che non si tratta di “colpo di Stato”, ma di “colpo di sole”.
E’ intervenuto anche il Presidente del Senato Grasso, “piccato per le polemiche” e rivendicando con forza di essere “un giudice imparziale”.
Tra le continue battute e le affermazioni apodittiche ed autoreferenziali, si è intanto sviluppato tra gli opinionisti un dibattito iniziato, per la verità in sordina, da almeno tre anni, sul c.d. “interventismo” del Presidente della Repubblica; in questo caso a favore del percorso tracciato dal Governo per l’approvazione delle riforme costituzionali.
Lasciando da parte le posizioni più estreme, da una parte e dall’altra, gli esperti discutono da tempo della trasformazione avvenuta nell’interpretazione del ruolo di rappresentante “dell’unità nazionale”, a partire dalla versione prettamente notarile di Einaudi, per passare alle esternazioni ed alle picconate di Francesco Cossiga, fino all’interventismo quasi sistematico di Napolitano; con una data d’inizio che, più o meno, può essere indicata nell’agosto del 2010, dopo la famosa intervista estiva rilasciata a “L’Unità”, ed in particolare, se non ricordo male, a Concita De Gregorio.
Giorgio Napolitano negli ultimi mesi è apparso sempre più preoccupato per la situazione del nostro Paese. Pur non avendo affatto gradito il trattamento riservato ad Enrico Letta, che lui aveva appoggiato con grande convinzione -così come, peraltro, aveva fatto con Mario Monti-, col passare del tempo si è, probabilmente, convinto che la tenuta del Governo Renzi sia strettamente legata all’approvazione delle riforme.
Volendo a tutti i costi evitare quella che lui ritiene una sciagura, cioè il ricorso anticipato alle urne durante il semestre di presidenza italiana della UE, ha probabilmente valutato che sia nell’assoluto interesse del Paese che Il Governo prosegua il suo cammino e, quindi, che le riforme istituzionali proposte da Renzi vengano approvate.
Ammesso che sia questa la lettura corretta da dare alla sua decisione di intervenire sempre più marcatamente nel “confronto politico in atto”, va peraltro sottolineato che si tratta comunque di una scelta senza precedenti nella storia Repubblicana.
Naturalmente, sulla scena politica si scontrano i difensori “senza se e senza ma” delle scelte di Napolitano, capeggiati da Renzi e dalla maggioranza di Governo, ma anche da “Repubblica” e da “La Stampa”; mentre, dall’altra parte, troviamo chi grida all’impeachment, come il M5S, e -sul fronte dei media- le ormai quotidiane accuse lanciate contro il Capo dello Stato dalle pagine de “Il Fatto Quotidiano”.
Alla fine le riforme saranno approvate dall’Assemblea del Senato, probabilmente nei tempi “contingentati” dall’ufficio di Presidenza di Palazzo Madama. In questa congerie di polemiche e di provocazioni dove tutti sono “l’un contro l’altro armato”, brillano per la loro totale assenza i mediatori autorevoli che un tempo si distinguevano sulla scena politica.
Oggi i protagonisti “mostrano il petto” e non sembrano affatto aver paura dello scontro; anzi, per la verità danno spesso l’impressione di cercarlo. Che sia vero o no che, in fondo, a Matteo Renzi non dispiacerebbe poi così tanto il ricorso anticipato alle urne -magari, anche per favorire l’elezione di parlamentari più vicini alla sua linea politica- resta il fatto che queste continue tensioni, che crescono di ora in ora a livello esponenziale, finiscono per distogliere l’attenzione dai veri problemi che affliggono l’Italia: la crisi economica e la disoccupazione, che naturalmente sono la tragica punta dell’iceberg di una “crisi di sistema” che affligge il Paese da anni.
Ed è proprio per farvi fronte che il Governo sta tentando faticosamente di trovare soluzioni adeguate.
Moreno Morando
(25 luglio 2014)
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